Non v'è alcun luogo che non ti veda
Negli anni parigini Rilke visita ripetutamente il museo del Louvre, dove è conservata la statua che ispira la poesia intitolata Arcaico torso di Apollo. Si tratta del cosiddetto Torso di Mileto, dal luogo in cui fu ritrovato: la città di Mileto, nella parte sud occidentale dell’attuale Turchia. La statua, raffigurante un giovane (non è detto che si tratti di Apollo: così Rilke ha voluto interpretare l’opera, dandole il nome del dio delle arti), è priva della testa e delle braccia, che erano le parti più fragili delle sculture e perciò più facili a rompersi e disperdersi. Resta una gamba, fino all’altezza del ginocchio, mentre dal modo in cui l’anca sinistra si innesta sul torso si capisce che la gamba sinistra, perduta per intero, era tesa in avanti. In Arcaico torso di Apollo (che apre la seconda parte delle Nuove poesie) Rilke descrive la statua e, soprattutto, gli effetti che essa ha su colui che la osserva.
Non conoscemmo il suo capo inaudito e le iridi che vi maturavano. Ma il torso tuttavia arde come un candelabro
dove il suo sguardo, solo indietro volto, resta e splende. Altrimenti non potrebbe abbagliarti la curva del suo petto e lungo il volgere lieve dei lombi scorrere un sorriso
fino a quel centro dove l’uomo genera.
E questa pietra sfigurata e tozza
vedresti sotto il diafano architrave delle spalle, e non scintillerebbe come pelle di belva, e non eromperebbe da ogni orlo come un astro: perché là non c’è punto che non veda te, la tua vita. Tu devi mutarla.
Hans-Georg Gadamer cita Rilke ne “L'attualità del bello”. Nella traduzione italiana del testo di Gadamer è ripresa la parte finale della poesia di Rilke e “...non c'è punto che non veda te...” diventa "non v'è alcun luogo che non ti veda".
Sono giunto a Gadamer e sono tornato a Rilke leggendo “La salvezza del bello”, del filosofo coreano Byung-Chul Han.

Non v'è alcun luogo che non ti veda afferma che, nonostante la nostra noncuranza, la nostra distrazione, la nostra anestesia, la nostra necessità di irrompere senza sosta nella dimensione del mutamento cangiante delle forme e delle apparenze, nonostante tutto ciò i luoghi e le cose insistono sul mondo, su di noi, ci braccano senza rincorrerci.
Nell'epoca della proliferazione incontrollata delle immagini e della necessità di apparire,
gli oggetti incontrati nel deposito di Palazzo Ricchieri mi hanno stupito per il loro porsi al mio sguardo, rinunciando alla consacrazione della sala espositiva, del piedistallo, delle luci. Relazionarsi con le opere in silenzio e solitudine è stato un grande privilegio.
Ogni volta che affronto un lavoro la mia ricerca si dirige in molteplici direzioni e spesso verso linguaggi diversi.
Così raccolgo appunti, suggestioni, intuizioni, spunti per possibili titoli, libri, suoni, immagini.
Se fossimo in ambito investigativo definirei tutto questo materiale "confidenziale". Non che il processo vada nascosto a tutti i costi, ma certamente, se scoperto, andrebbe rimodulato e strutturato in funzione di una fruizione pubblica.
Ci sono molte altre cose intervenute nel processo e nelle scelte fatte per questo progetto.
Una di queste, forse la più evidente, è la decontestualizzazione degli oggetti nello spazio bianco a tre dimensioni, un gioco spudorato dove troviamo il povero Brian O'Doherty strattonato per la giacca a causa dei suoi celebri saggi riuniti sotto il cappello "Inside the White Cube: Te Ideology of the Gallery Space".
Il mio è un giocare sporco, tanto che al posto dell'opera, nel white cube, ci metto due strumenti di misurazione della temperatura e umidità, e insisto poi con altri oggetti. Questa volta opere, sì, ma rotte. Frammenti, pezzi, cocci, ciò che riteniamo impresentabile.
Sono questi che accendono la vera compassione, cioè la condivisione delle emozioni, delle sofferenze, delle pulsioni. E' la sezione del collo spezzato, le braccia mancanti del torso ligneo e lo sguardo negato, l'incompletezza del cerchio del piatto. E su quest'ultimo quel messaggio tra amanti, "punto debole", poesia assoluta.

IL SOGNO DELLE COSE. QUADRI E SCULTURE MODERNE DALLE COLLEZIONI CIVICHE  DI PORDENONE

Pordenone, Galleria Harry Bertoia
21 novembre2021 - 13 febbraio 2022
a cura di  Alessandro Del Puppo e Luca Pietro Nicoletti

mostra promossa dal Comune di Pordenone in collaborazione con la  Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, l'università di Udine e la Soprintendenza dei beni archeologici, artistici, architettonici e del paesaggio del Friuli Venezia Giulia. 
Giulia.

L'installazione “Non v'è alcun luogo che non ti veda” è parte della collezione permanente della Galleria Harry Bertoia.
Back to Top