Club Europeo della Stampa, Comunità Europea, Brussels, novembre 2022
Tra gennaio e aprile 2021 ho percorso assieme a Paolo Rumiz gli spazi del Porto Nuovo di Trieste e quelli delle aree strategiche per lo sviluppo delle attività logistiche. Abbiamo messo i piedi su chilometri di binari in disuso ed è stato subito evidente che stavamo camminando sulla sintesi tra passato e futuro di uno dei comparti fondamentali dell'economia di questa città.
Paolo mi ha messo a disposizione i suoi appunti di viaggio. Ne ho scelti alcuni e in base a questi ho selezionato tra oltre 600 scatti le immagini per questa mostra.
Così come poche fotografie non possono risolvere un tema tanto ampio, nello stesso modo i frammenti di Paolo restano orfani di quella stesura narrativa che, elaborando gli appunti, produce la sua cifra autoriale che ben conosciamo.
Questa generosità di Paolo nel concedere il frammento grezzo ci offre l'opportunità per una diversa esperienza di fruizione della mostra: il discorso resta aperto e ognuno di noi può praticare l'esercizio del completamento per ogni insieme di parole, così come per ogni singola immagine.
L'origine del nostro lavoro è la stessa: lo sguardo sul mondo che ci sta attorno mentre ci camminiamo in mezzo.
Alessandro Ruzzier
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Lo spazio è talmente immenso che la città, vista da oltre il muro, sembra piccola. E noi vediamo Trieste da un mondo senza giorni e senza notti, dove non esistono domeniche, Natale o Pasqua. Un mondo che non si è fermato mai, nemmeno durante la pestilenza mondiale detta Covid 19.
Te ne accorgi di notte, quando la città tace. Il tonfo degli smistamenti parla di decine di convogli ogni 24 ore, mille ogni mese, oltre diecimila in un anno. Un lavoro in crescita esponenziale anche per il personale delle Dogane.
La rete di ferro ha fame, toglie dalla sterpaglia e dall'oblio i binari addormentati, si ramifica verso la Valle delle Noghere, Servola, Aquilinia, lo spazio della Grandi Motori.
Attraverso queste banchine e queste linee, cui convogliare i fondi dell'Ue, della Bei e del Recovery Fund, Trieste ritrova il suo hinterland imperiale, ricompatta il Continente, ridiventa punto di sutura fra Centro Europa e Mediterraneo.
Scalo di Aquilinia, una fascia di diciotto binari paralleli che collega il porto alla zona industriale ex Wartsila. Un altro pezzo di città uscito dall'immaginario.
Quello sulla ferrovia coperta di rovi dalla stazione di Trieste Aquilinia a Bagnoli è un viaggio in tutto ciò che negli ultimi trent'anni non è stato fatto, lungo il patrimonio dimenticato della vecchia cara ferraglia austroungarica.
E' il viaggio in una No man's land tra industria e boscaglia che si infiltra con passo clandestino nel sistema linfatico dei sovrappassi e degli svincoli, trafficatissimi, della Zona industriale, penetra nella periferia di Trieste godendo di uno status di comoda extra-territorialità, sorvola il retrobottega delle vite quotidiane, scuole, negozi, sportelli bancomat, sfasciacarrozze, zainetti lasciati da migranti, depositi di copertoni e plastica, fino al grande bivio fra la città e l'Istria, valvola mitralica fra due mondi.
Gli sterminati spazi della Ferriera antica, per decenni fonte di micidiali ammorbamenti dell'aria, ridiventano porto. Montagne di ferro che crollano, colline di refrattario da spostare, anatomia di viscere industriali scoperte, richiami di fantasmi nel vento, giganteschi ammassi di pani di ghisa. Sguardo spietato sullo stomaco di un mondo affamato di materie prime.
Quando Genova e Napoli hanno bonificato spazi simili, ci hanno speso reportage e servizi fotografici con i migliori professionisti. Qui niente. Il vecchio mondo scompare senza lasciare traccia, perché il 99 per cento dei triestini non l'ha mai conosciuto.
Nell'area ex Aquila, anch'essa espulsa dalla memoria, i caprioli scorrazzano tra i cespugli. Anatre, cigni, egrette, cormorani, aironi pullulano alla foce di ciò che resta del fiume Rosandra. Coabitano wilderness e veleni, fichi monumentali e carcasse di edifici, sterpaglia e patetici bunker di era fascista. In mezzo alla spianata, un surreale gasometro sferico alto 20 metri, dalla cui sommità vedi a mozzafiato il crinale del Carso.
Sulla linea di costa che diverrà ungherese il mare mastica e digerisce ferro, mitili, pietre, legnami alla deriva. Dall'altro lato del canale navigabile, il rombo ininterrotto dell'inceneritore.
Paolo Rumiz
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